Una normale e tranquilla giornata d'inizio autunno: un freddo pungente al mattino, fino a metà giornata, quando un timido sole si sforza di far breccia tra i neri nuvoloni ed ecco comparire altri scalatori, prede di quell'insaziabile desiderio di roccia, di quella malìa contagiosa che spinge a sfidare la dea Gravità...
Dopo i primi tiri saliti più per onorare al dovere rituale di riscaldarci in parete che per puro piacere, eccomi a rimirare un tiro ancora mancante nel carnet, una linea al confine tra il cupo colore della roccia del diedro ed il solare spigolo della parete... Un richiamo irresistibile: detto fatto, il mio compagno si presta ad assicurarmi ed io salgo senza indugio fin oltre la metà, forse oltre le difficoltà. Poi d'improvviso un muro liscio, dove lo sforzo per restare aderente alla roccia consuma le forze, ma la caparbietà e l'orgoglio prevalgono.
Rotpunkt, onsight,... sono le parole magiche che risuonano nell'inconscio e condizionano l'agire: guai ad afferrare un qualsiavoglia oggetto estraneo alla roccia, guai a chiedere un riposo al compagno, già in ansia per il tentennamento prolungato... Ma le forze cedono e con esse l'orgoglio: decido di ripiegare e con le forze rimaste domando al compagno il famigerato 'rest'! La paura mi invade e, ben sopra l'ultimo rinvio, faccio quello che non si dovrebbe mai fare... riscendo e cerco di afferrare il moschettone con una mano.
E' un attimo: la leva del moschettone cede alla pressione della mano e vedo sfilare la corda dal suo interno... Orrore! Sto cadendo volontariamente e senza l'ultima protezione... il volo è lungo, la botta violenta, l'urto con una sporgenza della parete assicurato. Ha vinto lei, la dea Gravità, Colei che tutto attrae verso il duro suolo... L'adrenalina ottenebra i sensi e mi impedisce di realizzare di aver cozzato con la nuda roccia, ma occorrono pochi istanti per capire che l'urto ha prodotto i sui risultati: una caviglia indolenzita, dolorante e con un aspetto davvero innaturale e l'altra non è da meno.
Si susseguono alcuni attimi di concitazione, la falesia si mobilita in seguito al grido che certamente ho lanciato nel lungo planare verso madre Terra ed il mio compagno mi cala delicatamente, mentre io cerco di limitare il contatto tra le mie gambe e la parete.
Poi il trasporto fortunoso, anche se breve, all'auto, caricato in spalla dai compagni (per fortuna loro io sono un peso piuma...) che funambolicamente superano le roccette ed il roveto alla base della falesia. Quindi il viaggio verso il CTO, le lastre, le visite ortopediche, l'ingessatura ed infine ... il ricovero.
Oltre dieci giorni di limbo, curato e quasi viziato in questo grattacielo che sa un po' di grand hotel (non fosse per i frequentatori)... quindi l'intervento e l'inserimento di un po' di viti e placchette (spero omologate... eh eh) per tenere assieme i pezzi di tibia e perone.
Ora trascorreranno alcuni mesi, utili non solo a rimarginare le ferite fisiche del corpo, ma soprattutto a riflettere e curare col tempo una malattia dello spirito, il 'mal di montagna', che talvolta ottenebra la mente...
P.S.: chiedo scusa se il 'narcisismo' ha preso il sopravvento, ma anche il desiderio di raccontare, di dare una spiegazione dei ritardi nell'aggiornamento di queste pagine hanno avuto parte. E poi si sa, raccontare è un po' separarsi dagli eventi dolorosi, esorcizzarli, allontanarli da sè... senza tuttavia rinnegarli e facendo comunque tesoro dell'esperienza.
P.S. bis: un grazie di cuore agli amici, ma anche agli sconosciuti che mi hanno soccorso e sostenuto dai primi istanti successivi all'incidente fino ad ora.