Ecco che i gadan collaborano con il nemico... In effetti questo week end, un attivo simpatizzante (n.d.r. Jean) accompagnato da un ufficiale riconosciuto confermatissimo gadan, quale è Marcello, ha cercato di disperdere sul ghiacciaio più alto del briançonnais, quattro maschietti francesi... Non esageriamo... Volevamo assaporare l'ebrezza dell'alta quota. Cercavamo quelle indefinite sensazioni delle lunghe salite verso le vette alte. Volevamo l'emozione della levataccia. Aspettavamo l'incubo di non dormire per colpa dell'atonia dei muscoli faringei del vicino (che dunque russa come un crinas da gara). Desideravamo la poesia della decompressione intestinale, fatale a quell'altezza, fragrante e flagrante (o deflagrante) a seconda dell'interprete-assassino... Grazie a Luc e Marcello che hanno improvisato un concerto decisamente lirico in pet maggiore... Con impetto, dovrei dire!! Insomma. Volevamo calcare la vetta della terza cima più alta del massif des Ecrins : le
Dôme de Neige. Cima elegante, rotondeggiante, che veglia sulla seraccata più bella delle Alpi. Partimmo convinti, dal prato della signora Carle - che per poco non ci sparo' quando decidemmo di parcheggiare proprio sul prato - verso la meta del primo giorno, ossia le
refuge du glacier Blanc. Il sole cuoceva le nostre teste, ma niente poteva fermare questo slancio che solo crea l'amore. Ci guardavano le tre cime del
Pelvoux, il picco-senza-nome-nominato-Sans-Nom, le Coup de Sabre isolato da un colpo di sciabola che lascio' martoriata la cresta che dal Sans-Nom porta all'Ailefroide. Insieme al
Fifre e al Coolidge, sbarravano la strada e l'orizzonte, come per dirci di andare più a Nord, laddove le nevi sono più bianche, più belle, più fresche. Cena fatta al refuge, si ando' a dormire. Poco. E
nel cuore di una notte lunare, sei alpinisti mannari si alzarono. Le loro mani pelose tirarono fuori marchingegni dentati e appuntiti per meglio ferire il ghiaccio, con i denti stretti, iniziarono a salire, metro dopo metro, scanditi da qualche metronomo divino che piano piano li portava in un mondo di freddo, di venti, di roccia e di ghiaccio. La
luna indicava la strada da seguire, come fosse posata delicatamente da un amante poeta, sul duomo di neve. L'ultima pausa fù fatta prima dell'ultimo risalto, minacciato dalle
seraccate, tanto per riprenderci bene, e poi salire il più velocemente possibile. Mentre salivano, le nuvole divennero minacciose, e la Barre des Ecrins, sopra, si copri' per bene, tant'è che arrivati a quota 3600 circa, si decise di tornare giù. Di fatti, la pioggia ci insegui' fino alle macchine, come farebbero delle arpie impazzite. Fradici ma felici, non avemmo altra scelta che festeggiare la ritirata con risate, cibo in quantità, e qualche sgasata da leggenda, lasciate in omaggio alle affascinanti cameriere del noto ristorante di Ailefroide. Ecco quel che conta: la giusta fatica, l'ambiente, l'aria, l'amicizia, la risata... e la mangiata!!!