Freddo pungente di una giornata di fine settembre; d'altra parte siamo a quasi 2000 metri di quota e ormai a quest'epoca l'autunno è iniziato da un po'.
C'incamminiamo sulla bella mulattiera che porta al rifugio Vittorio Emanuele II, prima tra bei larici ancora verdissimi, poi su prati bruciati dal primo gelo. Intorno a noi si stagliano nitide le vette del gruppo: la
Punta Fourà chiude il vallone a sud, la
Becca di Monciair con la sua cuspide piramidale e la calotta glaciale del
Ciarforon sovrastano invece i pendii su cui sale a lente risvolte il sentiero.
Due ore di cammino e siamo al
rifugio: quanto sembrano lontani i giorni d'agosto in cui una torma di gente affolla il rifugio. Silenzio ed una solitudine che mette un velo di tristezza dominano il pianoro. Le ore prima della sera trascorrono a rassettare il ricovero invernale, accendendo la provvidenziale stufa a legna e preparando un pasto 'alpinistico'. Poi lo spettacolo del tramonto che tinge di
rosa i ghiacci circostanti ed infine calano le tenebre, un sipario cosparso di miliardi di stelle.
Albeggia, non sono ancora le 7 e siamo già in marcia sulla morena glaciale, direzione sud. Il fondovalle è colmo di
nebbie mattutine che tentano di avvolgere il rifugio che ci siamo lasciati alle spalle. La vista mano a mano che saliamo si apre sempre su nuovi scenari montuosi: il
Monte Bianco, la
Grivola, la regina della Vanoise (la
Grande Casse).
Si mette piede sul
ghiacciaio di Monciair, tenendosi a debita distanza dai crepacci ben visibili, nonostante lo strato di neve soffice che ricopre tutto. La fatica è elevata a battere la traccia su questa neve farinosa. Zigzagando per evitare una fascia di ripide rocce perveniamo alla
cresta e finalmente vediamo l'altro versante: un
mare di nebbia da cui emergono solo le più alte vette delle Graie è lo spettacolo innanzi a noi. Pochi istanti per riprendere fiato e si riparte sulla cresta. Ma il cammino è interrotto dopo poco a causa di un
pendio ripido reso insidioso dal ghiaccio vivo nascosto da uno spesso stratto di neve incoerente. Occorre proseguire a tiri di corda per limitare i rischi, ma le condizioni 'himalayane', con ghiaccio, neve misto a roccia marcia rendono la progressione lenta.
Finalmente abbiamo di fronte il
gran gendarme, il dente aguzzo che si staglia netto dal profilo della Monciair e crediamo di essere
a un passo dalla vetta: ma così non è.
Un ostacolo costituito da un salto roccioso (coperto di detriti) ci costringe ad una breve
doppia. Poi si prosegue sul ripido pendio finale tra neve e roccette, sempre in allerta per il ghiaccio nascosto sotto lo strato nevoso.
Con fatica e notevole dispendio di energia alla fine siamo sul punto culmine, la
vetta della Becca di Monciair è nostra.
Le foto rituali e un rapido spuntino impegnano i pochi istanti trascorsi in vetta, poi ci si prepara per la
discesa che prevediamo impegnativa.