Come al solito, nessun proposito della partenza viene rispettato e dunque eccoci pronti ad ingaggiarci con una non proprio banale salita sulla
verticalissima parete sud del Castelletto Inferiore. Il nome, Castelletto, e la qualifica, Inferiore, non fanno giustizia di questa montagna tutt'altro che minore.
Infatti la via Kiene sul Castelletto appartiene al novero di quelle classiche del Brenta, addirittura definita elegantissima dal grande Ettore Castiglioni.
Interdetti di fronte al diedro strapiombante del primo tiro, optiamo per una più abbordabile variante destra che ci offre la possibilità di abituarci alla verticalità, esposizione e difficoltà tipiche degli ambienti dolomitici.
I tiri centrali invece ci offrono immediatamente un saggio di
IV grado superiore in piena parete: verticalità assoluta, scalata atletica, esposizione e quasi totale assenza di protezioni in posto, richiedendo la continua ricerca della linea di salita.
Le due punte di diamante (Marcy e Red) si susseguono sui tiri di IV+ con passaggi verticali, in diedro, in camino-fessura, in traverso, mettendo alla prova la resistenza del nostro manipolo.
Finalmente dopo ore di scalata approdiamo
sulla vetta della nostra croda, ma non c'è tempo per sostare: occorre iniziare quanto prima la discesa, che come ben sappiamo in Dolomiti è quasi sempre complessa e impegnativa.
Seguiamo le indicazioni forniteci dal gestore del Tuckett, ossia di percorrere la normale in discesa, essendo il lato nord innevato.
Disarrampichiamo prima in cresta, poi con molta cautela e trepidazione intraprendiamo la discesa sui ripidi pendii della via normale, concatenando terrazzini esigui invasi di detrito e piccoli risalti di roccia. Fortunatamente reperiamo un cordone su spit da cui decidiamo di tentare la doppia fino al cengione della normale. Da qui camminiamo come su di
un cornicione sospeso su quasi 200 metri di vuoto... sfiorando in cerca di sicurezza la muraglia verticale che ci sovrasta. Poi contorniamo la parete ovest fino a sporgerci sulla forcella di calata sui camini della normale. Un ancoraggio non ben visibile (su masso) ci permette una calata provvidenziale, visto il ghiaccio in fusione che copre le ripide rocce sotto i nostri occhi. Non resta che concludere con una serie di doppie (alcune brevi altre meno) per giungere a terra e in pochi minuti all'agognato rifugio.
Siamo alla base piuttosto esausti ma soddisfatti per la nostra impresa: nonostante la più totale assenza di allenamento e abitudine a questi ambienti siamo riusciti entro le ore di luce a compiere questa, per noi impegnativa, scalata alla Kiene! :-)