Ore 5:30 sveglia, ore 6 colazione, ore 6:30 in punto partenza: siamo i primi a muoverci in questo chiarore mattutino che proietta una rossa luce di fuoco sugli speroni del Brouillard. I nostri passi si muovono senza indugio sull'evidente traccia diretta al Freney. Poi una pietra con l'inequivocabile indicazione "cheney" ci invita a risalire una faticosa china detritica fino all'attacco della prima parte dell'ascensione.
Ci imbraghiamo e iniziamo la parte alpinistica, per rampe di roccette e brevi muretti, con difficoltà abbordabili, tali da non richiedere l'uso della corda, nonostante qualche tratto in lieve esposizione.
L'ambiente si fa via via più severo sotto la scura mole dell'Innominata e stretti a destra dalla nera lama della cresta di Peuterey.
Siamo veloci ed alle 8 perveniamo al nevaio pensile, ormai in vista della forcella d'attacco dello sperone vero e proprio. Ora ha inizio la scalata vera e propria, con primi passi sul II grado (L1) che ci conducono alla forcella ed al primo vero passaggio impegnativo (con scarponi): un diedro di IV grado (L2).
A seguire, con passaggi di III e IV, scaliamo svariate lunghezze fino ad un muro verticale in notevole esposizione.
Calziamo le scarpette per affrontare il primo V della via, un entusiasmante spigolo a picco sulla parete est dell'Aiguille Croux che precipita sui tormentati seracchi del Freney...
Si giunge quindi su di una terrazza spettacolare da cui già si vedono le placche di roccia magnifica degli ultimi tiri, in comune con la via Ottoz. Con un tratto in orizzontale e con aggiramenti di alcuni piccoli gendarmi, sempre in grande esposizione sul Freney, perveniamo alla sezione più impegnativa della via, ossia le due lunghezze di V+, fortunatamente addomesticate da alcuni spit (3 su 20 metri).
La scalata è semplicemente entusiasmante: roccia da urlo, su fessure/cannelures svase ma ruvide, con passaggi non banali ma comunque protetti o proteggibili (santo Camalot C1!). Il secondo tiro presenta una sorta di diedrino di sapore classico: lo superiamo brillantemente ormai confidenti con questo granito da sogno
.
E siamo alla cengia che la relazione su gulliver indica come termine via... recuperiamo la corda, togliamo le scarpette, convinti della fine di ogni difficoltà... Invece scopriamo che occorre ancora superare un'esposta placca di III+ da cui occhieggia uno spit. Rimesse le scarpette e superata la candida placca giungiamo finalmente al terrazzo sommitale e, con breve e facile scalata su massi accatastati, finalmente tocchiamo la vetta.
Gli impressionanti seracchi del Freney precipitano dal Bianco, e stretti tra l'Innominata a sinistra e l'Aiguille Blanche de Peuterey a destra discendono tormentati fino ai piedi delle Dames Anglaises e dell'Aiguille Noire.
Siamo estasiati da questa visione grandiosa e vorremmo restare a contemplarla per ore, ma la discesa è molto lunga (11 doppie sulla via normale più una doppia per raggiungere il ghiacciaio di Chatelet...), dunque ci risvegliamo dal sogno e ci apprestiamo a predisporre le calate.
La linea è logica, con le prime tre discese verticalissime, poi su terreno più appoggiato ma fortunatamente senza incagli di corda. L'ultima doppia ci deposita sul ripido nevaio del terrazzo mediano, dove la neve frolla ci convince a calzare i ramponi, che non ci evitano qualche simpatica scivolata.
Dietro di noi una cordata composta da una guida svedese e relativo cliente, munita della stessa nostra corda da 60 m. Poiché la relazione in nostro possesso parla di unica calata da 60 m per giungere al ghiacciaio, proponiamo di fare società e unire le corde (e le forze).
Reperito l'ancoraggio, la guida prende il comando del manipolo e si cala; a seguire il cliente, poi Chris e per ultimo il sottoscritto. I 60 metri sono appena sufficienti a lambire la terminale del ghiacciaio, che si raggiunge con un piccolo salto... che il nostro (Piero) riesce a mancare, rimediando una gran bella culata ed il recupero
da parte della graziosa guida svedese...
Stanchi ma galvanizzati dalla nostra impresa ci avviamo a discendere il ghiacciaio, non ripido ma comunque da percorrere con cautela (specie con i ramponcini da escursionismo...).
L'ultima fatica sarà il sentiero, a tratti ripido, per il rifugio, visto che ormai la decisione in cuor nostro è presa: trascorreremo ancora una notte in rifugio, dove giungeremo intorno alle 17:30, in tempo teoricamente per scendere fino al fondo valle, ma sconsigliabile vista la stanchezza accumulata.
Il giorno successivo ci avviamo di buon mattino per la via ferrata, con la mente piena di immagini di questa due giorni memorabile.
Non paghi delle visioni celestiali, dal tavolino del bar di Pré Saint Didier dove nutriamo anche il corpo con una cospicua piadina annaffiata da una fresca weiss, riempiamo ancora gli occhi con la vista del gruppo del Bianco, dalla Brenva alle Grandes Jorasses passando per il Dente del Gigante.
Au revoir Mont Blanc.